Luigi Alfieri, 2011
Quello di
oggi, cari lettori, è uno sfogo. Uno di quelli cosiddetti “di pancia”,
rabbiosi, istintivi, conseguenza della quotidiana pressione cui noi avvocati
siamo sottoposti nello svolgimento della funzione di “problem solver”. Dopo una
notte insonne ho deciso di rendervi partecipi di questo sentimento. D’altro
canto anche noi “legali” siamo esseri umani, persone che vivono e
inevitabilmente entrano in empatia con i soggetti che tutelano. Oggi mi trovo
nella condizione di assistere all’inesorabile declino di aziende, piccole e
medie, che ho aiutato a nascere, a crescere, a svilupparsi sul territorio
nazionale e, qualcuna, anche oltre. Ebbene, mettiamoci la congiuntura
sfavorevole che ahimè, dati alla mano, ha ridotto drasticamente i consumi,
mettiamoci la depressione psico-fisica degli imprenditori (quella che poi
induce a gesti estremi che talvolta leggiamo sui giornali), dettata dalla
difficoltà di veder morire le proprie creature e dal fatto di dover assumere
scelte drastiche per i lavoratori, che qualche imprenditore illuminato
considera quasi come componenti di una famiglia allargata, e poi mettiamoci la
mazzata finale, ovvero la condotta degli istituti di credito. Quelli cui ci si
rivolge per una boccata di ossigeno e che invece, ad un tasso agevolato, ti
erogano dell’insana anidride carbonica che, nella migliore delle ipotesi, ti
intossica e, nella peggiore, ti uccide...
UOMINI E
IDEE Queste imprese, fatte di uomini, di esseri umani che hanno lottato, delle
loro meravigliose idee, ci entrano dentro e diventano parte di noi; le loro
sorti ci interessano al di là e al di fuori dei risultati del tecnicismo
giuridico utilizzato per risolvere i loro problemi quotidiani o per evitare che
ne abbiano. Ciò accade perché le abbiamo aiutate a venire al mondo e, da buoni
professionisti, abbiamo fatto in modo che il loro parto fosse pianificato in
ogni dettaglio, per evitare sorprese. Le creature sono cresciute e, da bravi
zioni, abbiamo collaborato al loro nutrimento, abbiamo contribuito ad insegnare
loro a muoversi in autonomia mettendole in guardia dai pericoli e dai rischi
connessi al loro agire, proteggendole dai poteri forti (banche, intermediari
finanziari in genere e compagnie di assicurazioni che vendono e poi non
garantiscono).Vi starete chiedendo da cosa deriva tanta acredine.
LA FINE DEI
GIOCHI Qualche giorno fa mi ha chiamato il rappresentante di una di queste
“imprese”. Lo conosco da quasi dodici anni e, sconsolato, mi ha raccontato di
essere giunto alla fine. La sua, sino a qualche anno fa era un’azienda florida:
investimenti, nuovi contratti, location più adatta alle nuove esigenze,
assunzione di personale; insomma un’entità commerciale in crescita e in via di
assoluto sviluppo. Alla fine dell’anno passato i primi problemi: una banca
cartolarizza il proprio credito (in altre parole cede ad altra azienda, dietro
pagamento, i propri crediti nei confronti dei correntisti con affidamenti al
fine di ottenere immediata liquidità) e, quindi, incredibilmente (sic!) coprire
i ratei del finanziamento diventa un’odissea. Impossibile capire dove e a chi
versare; i ratei si accumulano e quindi la cessionaria pensa bene di “segnalare
alla centrale rischi” lo scoperto dell’intero affidamento. A questo punto è la
fine dei giochi: gli altri istituti di credito revocano i fidi e gli scoperti
di conto corrente e chiedono il rientro immediato. Mi racconta di averle
provate tutte ma, ahimè, a fronte di quella maledetta segnalazione ha perso
accreditamento e quindi affidabilità sulla capacità di solvenza.
LA RAGIONE
ARRIVA SEMPRE TROPPO TARDI Cerco di rassicurarlo menzionandogli il fatto che
alcuni Tribunali (Tribunale di Roma, Sentenza non definitiva, n. 31848 del 25
novembre 2004; Tribunale di Latina, Sezione di Terracina, Sentenza n. 4 del 3
gennaio 2007) hanno riconosciuto l’illegittimità di tali segnalazioni
condannando le banche sia al risarcimento del lucro cessante per mancati
profitti, sia del lucro cessante per mancato incremento del valore aziendale e,
infine, ma fondamentale, hanno riconosciuto il pregiudizio alla reputazione
commerciale e imprenditoriale del soggetto ingiustamente segnalato e, quindi,
il risarcimento del danno non patrimoniale che è stato riconosciuto “in re ipsa
(…) senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova del danno
stesso”. Ancora gli segnalo che proprio qualche giorno fa i giudici di
legittimità (Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza del 14 ottobre 2013, n.
23232) hanno condannato un istituto di credito che, rifiutando ad un
costruttore il frazionamento del mutuo, aveva violato i principi di buona fede
e correttezza contrattuale che trovano il loro fondamento nell’art. 2 della
costituzione, specie quando comportamenti e scelte di una parte (la banca)
conducono l’altra in condizione di sofferenza e svantaggio. Purtroppo tale
tentativo consolatorio non sortisce alcun effetto positivo. L’amico
imprenditore resta ancorato al dato di realtà e più volte mi ribadisce “… non
ho più nulla da impegnare e non riesco più a pagare gli stipendi ai miei
ragazzi … L’esito delle cause arriverebbe comunque troppo tardi e, nel
frattempo, che faccio?”
GRAZIE DI
TUTTO Mi piego, con la mia rabbia nella pancia e la voglia di urlare.
Dignitosamente raccolgo i suoi ringraziamenti per l’impegno e la voglia di non
mollare mai, ma, intanto, piango e assisto a un altro sogno che si frantuma, a
un altro fallimento. Raccolgo i suoi saluti e, intanto, per dare un senso
all’oggi e, soprattutto, al domani penso che si debba continuare, senza
rassegnazione e con tenacia rabbiosa, quella che ho avuto voglia di condividere
con chi è riuscito a leggermi fino qui.
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